Roby Marton on Clubhouse

Bio

Io credo nel destino. Non è una strada già tracciata e inevitabile, ma una vocazione, da riconoscere e perseguire, sempre. In uno dei ricordi più lontani della mia infanzia ficco le mani nella dispensa e rubo una bottiglia di brandy. Avrò avuto tre anni. Forse già allora erano i profumi dei liquori e i colori vibranti attraverso le superfici panciute dei vetri a chiamarmi. Oggi capisco da cosa nascevano la mia curiosità e la mia meraviglia di bambino.

Quei tesori custoditi segretamente dietro le ante di legno scuro in fondo già parlavano di me e di ciò che sarei stato, un giorno, ma anche della mia terra e delle mie radici. Di mio nonno e dei suoi racconti sulle genti venute dal nord durante la guerra, a portarmi sogni di aquile e di artigli, di boschi oscuri punteggiati di bacche lustre, di arbusti taglienti e di foglie come punte di spade, di barbaforte grattata su piatti fumanti in locande chiassose. Di mio padre che per primo volle sporcarsi le mani di terra per cavarne le radici odorose e infonderne l’essenza allo spirito, opera al nero racchiusa in uno scrigno di vetro lucido. Di una vecchia distilleria dai muri scorticati, custodi di un sapere antico quanto la memoria dell’uomo.

Oggi è il mio Gin a raccontare questa storia una volta di più. Il suo colore dorato che rifugge il bianco e riflette una luce più calda, la sua morbidezza rotonda a riempire la bocca per intero, le bacche rosse, la liquirizia e il cren a inventare una lingua nuova per una storia senza tempo. Una storia che parla di destino, ancora una volta, di una terra e delle sue radici, a chi saprà ascoltarla».